
Può un robot allenare la nostra capacità di raffigurare lo spazio circostante?
Capire se un robot influenza positivamente o negativamente una nostra capacità richiede necessariamente una misurazione.
Nel progetto di Meri Correani, ad essere rilevati sono stati gli errori e il tempo che una bambina coinvolta nello studio ha impiegato per risolvere un piccolo gioco.
«Le ho presentato una griglia su cui, di volta in volta, io disegnavo dei cuori. La lasciavo osservare l’immagine per un minuto e poi la coprivo.»
A quel punto, la bambina doveva andare a memoria, ridisegnando i cuori nelle posizioni in cui li aveva visti. Nel frattempo, Meri annotava: tempi, esitazioni, richieste più o meno implicite di suggerimenti ed errori fatti.
«La parte più difficile è stata non cedere a queste richieste di aiuto.» Ride Meri.
Questo é importante perché il rischio di influenzare l’esperimento, interagendo col soggetto, è sempre molto alto.
L’esercizio con le griglie è una rielaborazione di alcuni test che Meri Correani ha scoperto studiando la letteratura dedicata alla memoria di lavoro visuo-spaziale, chiamata in causa da questo esercizio.
In particolare, l’ispirazione è arrivata dai lavori del neuropsicologo italiano Francesco Benso. Meri ci racconta: «Questi training in realtà sono spesso creati ed usati per fare valutazioni cliniche. Nel mio caso, però, quello che mi interessava era semplicemente stimolare il sistema cognitivo e non fare un’analisi medica».
Il piccolo gioco-test a cui Meri ha sottoposto la bambina è servito a raccogliere un set di dati di partenza. Questi verranno poi confrontati con i risultati ottenuti dopo aver interagito con il robot. Del lavoro con mTiny parleremo nel prossimo articolo.
